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immagine di un'opera per i giardini digitali

I giardini digitali: cosa succede quando il web esce dagli schemi?

I giardini digitali sembrano essere diventati un trend importante nel mondo delle journey digitali degli utenti. Ma di cosa si tratta e perché attirano così tanto coinvolgimento?

Diciamo che non è tanto un addio a blog e pagine social, assolutamente, ma di sicuro un nuovo contenuto che renderà più consapevole e personale una dimensione digitale che forse negli ultimi anni ha raggiunto una saturazione di contenuti che gli utenti quotidiani hanno iniziato a bypassare.

Ora il mezzo per comunicare i propri pensieri o parlare delle passioni, in questo caso specifico personali, sono i cosiddetti giardini digitali o digital gardens. In realtà l’idea dei giardini digitali esiste da almeno vent’anni e rappresenta la concezione di creare uno spazio in cui ognuno coltiva ciò che gli appartiene più intimamente curandolo come meglio crede, senza dover rispondere a esigenze di omologazione spesso imposte da social e blog.

“I giardini riescono a superare questi due format della comunicazione perché, da una parte, offrono il massimo della personalizzazione dell’ambiente, lasciando spazio alla creatività dei singoli. Dall’altra riflettono anche il concetto di evoluzione personale, visto che contemplano frequenti modifiche e cambiamenti nei contenuti, accompagnando così un percorso interiore o culturale della persona”.

Nella maggior parte dei casi, questi spazi sono dedicati ad utenti che intendono coltivare argomenti, dettagli e interessi decisamente specifici e personali: ecco perché l’obiettivo di questa esperienza digitale non è il numero di visualizzazioni, interazioni o commenti – e quindi il raggiungimento di un preciso risultato di web marketing e web positioning – ma quello di creare ed essere padroni di un ambiente libero dagli schemi esterni.

Leggi anche: I CEO big tech puntano allo spazio, il business del futuro post-digitale.

I giardini digitali: un modo per unire digital e green experience con consapevolezza

Che questo nuovo trend sia un importante passo verso la consapevolezza personale è abbastanza chiaro. Quello che è ancora più chiaro, però, è che personalizzazione e libertà creativa sono due elementi fondamentali nella creazione di un digital Garden ma soprattutto sono i dettagli distintivi del fenomeno: un’identità che sembra scontata ma non lo è affatto. 

Non ci sono specifici o singoli micro-trend, correnti, idee comuni: tutto sta alla libertà dell’utente e alla sua voglia di raccontarsi attraverso i suoi contenuti, liberamente programmati e all’interno di un’ottica di personalizzazione fedele dei propri interessi. 

Per questo motivo è decisamente complicato tracciare delle tendenze generalizzate utili a descrivere i giardini digitali nella loro totalità, come fenomeno o prodotto grafico. Questo rappresenta però anche un limite per molti aspiranti “giardinieri digitali”, perché è un’attività che impone una conoscenza del codice almeno minima. Tutto ciò comporta un impegno e una quantità di tempo più importante rispetto all’utilizzo di piattaforme come WordPress o Facebook, dove invece la parte più creativa è sacrificata a tutto vantaggio dell’immediatezza.

Ecco che, appunto, si tratta di progetti che non sono campati in aria ma rappresentano il risultato di una capacità almeno basica di saper costruire digitalmente un “giardino” dei propri interessi: niente di cui spaventarsi, sia chiaro, semplicemente uno stimolo ad avvicinarsi di più al mondo del digitale attraverso skills che non si limitino al posting e alla gestione del proprio blog o pagina social.

Una sorta di “antidoto” ai social di tutti i giorni, con i loro contenuti, news, storie e altro. Secondo un recente articolo del MIT Technology Review, per esempio, sempre più persone stanno creando dei siti personalizzati che cercano di evitare il classico aspetto uniforme dei social media e sono lontani dalla struttura classica dei blog. E sono proprio i giardini digitali, a fare questo: spazi in cui riflettere, raccogliere i propri pensieri e dare forma alle proprie passioni, lontano dal flusso incessante dei feed social.

Ne esistono di ogni tipo e li potete trovare in questi link direttamente presentati in questo paragrafo: pagine dedicate ai musei, liste di letture sul pensiero filosofico e politico; raccolte di libri; appunti su politica e cambiamento climaticocartelle con note e appunti che anziché essere chiuse in qualche cassetto in camera finiscono online. Ci sono anche già stati diversi tentativi di stilare liste di quanti più giardini possibili e sub su Reddit per far ritrovare gli appassionati e condividere suggerimenti e strumenti utili.

I giardini digitali hanno precisi elementi in comune e riguardano tutti la tipologia di approccio e di presentazione di contenuti al pubblico, quindi non tanto aspetti strategici ma prettamente creativi: la libertà di introdurre forme e grafiche nuove per esempio, utilizzando codice HTML (Wikipedia è primo strumento migliore per capire di cosa si tratta, anche da parte di chi non saprebbe nemmeno cos’è un codice) — e soprattutto il ruolo centrale dell’organizzazione del flusso delle informazioni grazie a link e tag creati appositamente.

Questo il rischio del web raccontato da chi vive i giardini digitali in prima persona: l’appiattimento della forma dei social può finire per schiacciare anche i contenuti stessi: ci sono delle regole, limiti, normative, anche dal punto di vista grafico e creativo. L’algoritmo predilige un certo tipo di immagine, testo, posizionamento. E limiti simili esistono anche sui siti web: menù ad hamburger ovunque per esempio, tutti elementi che rendono le impostazioni grafiche del web delle modalità utilizzate da tutti e che alla lunga potrebbero stancare.

“Il pensiero si deve adattare all’infrastruttura digitale: ne sono un esempio le slide stile PowerPoint che in questi mesi di proteste del movimento Black Lives Matter hanno invaso le storie di Instagram”.

Si tratta perciò di un vero e proprio uscire dagli schemi: quelli normativi e universali, appunto. Un pensiero quasi più filosofico che grafico-creativo, ma che rappresenta alla perfezione quella consapevolezza del presente se parliamo di contenuti online. L’utente non è più un “cliente passivo” ma è una persona a tutti gli effetti che vive i social media come un’esperienza inclusiva, coinvolgente, totale.

Per esempio, l’omologazione estetica dei siti web è stata misurata da uno studio dell’Università dell’Indiana.

“Le differenze medie tra i siti web hanno raggiunto il picco tra il 2008 e il 2010 e poi sono diminuite tra il 2010 e il 2016. Le differenze di layout sono diminuite maggiormente, scendendo di oltre il 30% in quel lasso di tempo”.

Sta succedendo questo: è come se l’omologazione che si può trovare nelle dimensione urbane, pubbliche o private (offline, si intende) stia accadendo anche nelle dimensioni digitali.

Una ribellione, quella dei giardini digitali, che vuole combattere l’omonimia di certi contenuti con l’originalità dei contenuti personali e fuori dagli schemi classici del contenuto odierno.

Della serie: molte costruzioni si assomigliano, così come molti profili sui social. Ed è proprio il pensiero di chi segue ogni giorno i contenuti dei giardini digitali.

“Un giardino digitale è una raccolta aperta di note, risorse, schizzi ed esplorazioni che sto attualmente coltivando. Alcune note sono piantine, alcune stanno germogliando e alcune sono piante sempreverdi completamente cresciute o, continuando l’analogia con i giardini naturali, dei bozzoli in attesa che esca l’organismo interno”.

Maggie Appleton, antropologa, art director e illustratrice

“Le cose sono organizzate e ordinate, ma con un tocco di caos”.

Joel Hooks, sviluppatore e proprietario di uno dei numerosi giardini digitali del web

“Per altri, questi giardini diventano delle ancore di salvezza dal punto di vista psicologico: i giardini digitali sono un tipo di scrittura che ti permette di “scrivere senza preoccuparti di quello che penserà la gente; scrivere in piccoli pezzetti non finiti e costruirli poi in pezzi più grandi e più rifiniti per il pubblico”.

Cristopher Belarti, consulente per Startup

Un concetto che sembra complicato ma rimanda tutto alla nostra libertà di saper gestire e utilizzare gli spazi digitali: una consapevolezza che viene prima di tutto da parte nostra, con l’originalità e la creatività personale che ci può distinguere nell’oceano di internet.

Il pensiero è ciò che conta, meno i trend o le correnti: l’originalità personale sta tutta lì e il nostro compito è quello di farla uscire, anche con lo scopo di rendere il web un posto migliore.

“Le autostrade sono giudicate in base all’efficienza: distanza, costo, sicurezza e tempo. I percorsi del giardino giocano un ruolo diverso; ci guidano lungo le vie migliori, non le più brevi.”

Mark Bernstein, direttore scientifico di Eastgate