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bandiera USA per l'articolo sull'amministrazione Biden

Cosa cambierà nel digital globale con la nuova amministrazione Biden?

L’amministrazione Joe Biden si è insediata da poco tempo ma il neo-presidente democratico sembra avere già ben chiara la sua strategia, o meglio dire il suo approccio, nei confronti dei colossi del digitale.

Nonostante le politiche di espansione dei colossi big tech e la conseguente posizione favorevole dell’economia Usa, il dem non ha mai nascosto la sua preoccupazione nei confronti di uno scenario che, almeno dal punto di vista legislativo e tributario, l’ha passata liscia (a detta sua) un po’ troppe volte. Questo però non significa che le sue decisioni verranno prese ora e nemmeno se esse stesse saranno tanti radicali da cambiare le carte in tavola. Vi spieghiamo meglio perché.

Biden ha da sempre imposto la sua ferrea posizione rispetto al potere monopolistico delle imprese digitali, e il tema sarà uno dei principali margini di discussione dei suoi prossimi quattro anni alla guida degli Stati Uniti.

Se sul piano teorico infatti è condivisa l’idea di intensificare il controllo pubblico sulle condotte anti-concorrenziali dei colossi web per contenerne il crescente potere di mercato, nella pratica è difficile ipotizzare significativi mutamenti del quadro normativo almeno per quanto riguarda le prospettive a breve termine.

Ecco perché é sicuramente giusto affermare che i sempre più complessi problemi regolatori in materia di antitrust, i problemi legati alla privacy e tutto il macro-tema delle fake news catalizzeranno l’interesse della politica americana sulla possibilità di riforme governative da realizzare nei prossimi anni. 

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Amministrazione Biden e digital: cosa cambierà nel lungo periodo? Tutti gli scenari

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Nonostante appaia difficile prevedere un cambio di rotta repentino e immediato, il futuro del digitale è sicuramente un elemento chiave che verrà influenzato dalle decisioni che prenderà l’amministrazione Biden in tema di tasse, controlli e perché no anche rapporti diplomatici. Sì, perché i colossi del digitale hanno comunque l’esigenza di essere ascoltati – almeno come era successo al Congresso – e soprattutto di presentare le proprie posizioni instaurando un vero e proprio rapporto diplomatico con gli Stati del mondo, dove le piattaforme offrono servizi e coinvolgono utenti.

Ci sarà severità o la linea, almeno per il momento, sarà quella della leggerezza? Lo scenario politico attuale sembra rendere però particolarmente difficile il dibattito, alla luce di una variegata esternazione di differenti punti di vista – poco conciliabili – nella ricerca del migliore compromesso possibile da ratificare tra distinte posizioni ideologiche.

Diciamo che, almeno per quanto riguarda l’eco-sistema americano, convivono orientamenti troppo eterogenei sulle possibilità di intervento da intraprendere, perché manca proprio quella visione unanime che favorisca un’emanazione scorrevole dei necessari correttivi da approvare in materia. Anche se il recente assalto al Campidoglio da parte dei sostenitori del Presidente uscente Trump ha portato a più di una riflessione sul tema dei social network, il dibattito si limita appunto proprio a questo: una serie di numerose – forse troppe – riflessioni su un tema complesso, che il più delle volte è così complesso da creare numerosi punti di vista, opinioni e posizioni ideologiche che non riescono a trovare un punto in comune.

Un’idea che però sembra largamente condivisa – più o meno in modo “bipartisan” da democratici e repubblicani – è quella di intensificare il controllo pubblico sulle condotte anticoncorrenziali dei colossi del web per contenerne il crescente potere di mercato.

Un’idea che molti analisti pongono come priorità anche a costo di rallentare il ritmo evolutivo dell’innovazione in funzione di una più rigorosa vigilanza antitrust. Da questo punto di vista, l’azione sembra essere giustificata dalla sempre più grande esigenza di creare una stringente regolamentazione del settore soprattutto a tutela non solo della concorrenza ma anche dei diritti fondamentali degli utenti esposti al rischio di “manipolazioni virtuali”. (Quindi si torna ai discorsi sulla privacy online, la libertà individuale e la cosiddetta “autodeterminazione decisionale”.

Al contempo esiste anche un atteggiamento politico più morbido – che sembra essere influenzato dal potere dei colossi del web e dinamiche prettamente lobbistiche – che sembrerebbe favorevole all’espansione imprenditoriale delle big tech come rilevante fattore di crescita positiva del mercato, con l’economia digitale vista come volano per il Paese.

Il Governo presieduto da Biden sarà sollecitato in ogni caso a formalizzare un chiaro indirizzo operativo su come intenderà delineare i futuri rapporti con le big tech, decidendo se mantenere, in continuità con l’amministrazione Obama, un orientamento accomodante mediante politiche remissive o e a supporto dello sviluppo tecnologico della Silicon Valley, oppure inaugurare l’inizio di una vera e propria linea dura per reprimere l’abuso di potere delle grandi aziende tecnologiche mediante l’adozione di misure restrittive.

Queste politiche, secondo la visione dei più “estremisti”, dovrebbero essere volte ad accertare la sussistenza delle posizioni monopolistiche e delle condotte anticoncorrenziali che determinano distorsioni del mercato con conseguente concentrazione del dominio “tecno-economico”.

In questo senso, entrando nel merito, uno dei temi cruciali su cui ruoterà il dibattito politico di questo tema riguarda la disciplina legislativa prevista dalla Sezione 230 del “Communications Decency Act” del 1996, nella parte in cui riconosce uno specifico “scudo legale” che funge da immunità contro il rischio di pubblicazione di contenuti illeciti online immessi dagli utenti terzi, garantendo ai gestori dei siti web e agli intermediari telematici un esonero di responsabilità dalle conseguenze dannose provocate sulle loro piattaforme.

Questa normativa tende a tutelare il valore dei servizi offerti dai colossi del digitale: tra tutti c’è sicuramente l’accessibilità a tutti e senza limiti a dati, informazioni e contenuti sul mondo, ma soprattutto l’incremento delle fonti grazie alla disponibilità di risorse consultabili online che consentono di favorire lo scambio di opinioni e di idee nell’ambito di un “confronto pluralistico aperto e interattivo a beneficio di tutte le persone”.

Ecco perché viene promosso, in questo contesto, o sviluppo tecnologico della Rete, incoraggiando la progettazione di servizi informatici innovativi in condizioni di libero mercato, con l’intento di rimuovere tutti i possibili disincentivi di blocco e filtro che limitano l’accesso ai relativi contenuti, pur con l’intento di reprimere qualsivoglia attività illecita eventualmente posta in essere online.

Ed è sicuramente uno dei motivi per cui i colossi del digital sono “liberi” dalle responsabilità: la Sezione 230 del Communications Decency Act tutela la libertà di espressione e di innovazione su Internet, così da consentire che gli intermediari telematici (in cui sono inclusi anche i social network e i blogger) che ospitano contenuti pubblicati da utenti terzi siano legislativamente protetti per evitare di incorrere in responsabilità che escono dal cerchio della normativa vigente.

Questo scenario pone quindi una soluzione “a metà” o comunque non permette di farci fare delle conclusioni: lo scenario decisionale sembra infatti essere ancora poco chiaro e la complessità del tema non aiuta il consolidamento di una vera e propria posizione nazionale da parte dell’amministrazione Biden, anche perché c’è comunque bisogno di un appoggio parlamentare non indifferente.

Di certo, in un mondo in cui la regolamentazione tecnologica costituisce un fattore strategico decisivo per la definizione dei rapporti di forza tra poteri statali e i cosiddetti “oligopoli digitali”, sembra comunque difficile ipotizzare grandi cambiamenti o significativi stravolgimenti del quadro normativo vigente in tempi brevi, a scapito di un mantenimento della visione legislativa attuale.