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immagine di gente che tifa Trump

I colossi digital oscurano la destra trumpiana: facciamo un po’ di chiarezza

Giusto che i colossi del digitale oscurino o bannino i contenuti della destra sovranità, in questo caso della destra trumpiana? Questa è la domanda che si stanno facendo tanti utenti dopo la decisione di Twitter di bannare i profili di Donald Trump e altri 70.000 profili legati alla teoria cospirazionista di estrema destra QAnon.

Un argomento molto complesso, se si pensa che le normative dei colossi digitali sono spesso in contrasto (o meglio, in convivenza) con le leggi sulla libertà di parola e eventuali misunderstanding di censura, attraverso i quali le persone possono accusare i più noti social media di oscurare le prese di posizione di determinati esponenti politici.

Partendo dal presupposto che quello che è accaduto dimostra il grande potere politico che ormai rivestono Zuckerberg e co., è giusto fare delle considerazioni e soprattutto fare chiarezza su uno scenario decisamente dibattuto anche da chi di social capisce meno di altri.

Dobbiamo ammettere tutti che i social network sono ormai una parte fondamentale del mondo reale e della nostra vita ed è inevitabile che nelle loro piattaforme avvenga la diffusione di idee politiche differenti, contenuti provocatori e al limite della possibilità di condivisione. In questo contesto è chiaro che si possano creare movimenti e soprattutto gruppi di persone che appoggiano estremismo di destra, populismo e teorie del complotto (lungi dal dover giudicare necessariamente tutto questo da un punto di vista politico, cerchiamo di vedere la medaglia dal lato prettamente comunicativo e social).

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Di conseguenza, quindi, è su queste piattaforme che i padroni del web prendono le effettive contromisure, anche se in questo caso sono risultate forse un po’ tardive e provocatorie. Ci spieghiamo meglio: come abbiamo specificato nel paragrafo precedente, determinati contenuti hanno avuto strada spianata grazie soprattutto alle piattaforme social che hanno (giustamente) dato libero sfogo all’apertura di pagine, gruppi e alla condivisione di fake news.

Una circostanza che, però, è come se fosse degenerata (e in un certo senso l’ha fatto, attraverso gli episodi di Capitol Hill) provocando l’ira tardiva, appunto, dei colossi del web. Un comportamento che, oggettivamente, assomiglia un po’ al cane che si morde la coda, uno scienziato che distrugge la sua invenzione poco prima che questa prenda il sopravvento e provochi ferite non marginabili.

Uno scenario catastrofico e forse troppo pessimista, certo, ma emblematico di quello che stiamo vivendo: il potere politico dei social media che distrugge quello reale, votato dal popolo ma che allo stesso tempo mette in pericolo la sicurezza nazionale di un Paese sovrano.

Ed è proprio questo il punto: come spiega un interessante articolo di Wired, che noi citiamo alla lettera per far capire le intenzioni in buona fede, le conseguenze delle proprie scelte possono andare incontro a decisioni dure ma che possano prevenire ulteriori tragedie.

“Quando questo mix tra complottismo ed estremismo si trasferisce dai social al mondo reale il risultato può essere tragico: “È questa la lezione del Pizzagate del 2016, che ha reso evidente come le teorie del complotto diffuse su un forum possono portare un uomo a fare ingresso armato di fucile in un ristorante”, si legge sull’Atlantic. “È la lezione della manifestazione di Charlottesville del 2017, che ha reso evidente come l’odio online sia precursore della violenza offline. È la lezione della sparatoria nella moschea di Christchurch del 2019, eseguita da un terrorista radicalizzato su YouTube”. A questo va aggiunto il ruolo cruciale giocato proprio da QAnon negli avvenimenti delle ultime settimane”.

Andrea Daniele Signorelli, Wired

Ciò non toglie che, sicuramente, un errore da parte delle piattaforme c’è stato ed è quello di dimenticare per diverso tempo la loro responsabilità su quello che stava accadendo, per poi prendere provvedimenti (legittimi) troppo tardi.

Un’altra domanda che si pongono gli utenti in questi giorni è: può essere una società privata a esercitare il potere di censura, come spesso viene chiamato in queste ore da chi si ritiene contrario alla decisione di Zuckerberg e gli altri colossi del web contro la destra trumpiana?

Ecco che sospendere gli account del presidente può diventare un volano per il futuro, assolutamente negativo, visto che tra fake news e violazione della libertà di espressione sono due concetti diversi da tenere lontani per mere questioni democratiche. 

Un possibilità, quella di oscurare certi contenuti, che sarebbe giusta solo in presenza di fake news accertate (e le strategie di Facebook di cancellare gradualmente le notizie false sulla piattaforma ne sono la dimostrazione) e non in presenza di contenuti apparentemente fuorvianti. Una sottile linea rosse, come titolerebbe un famoso regista, che va rispettata oltre che disegnata con chiarezza.

In conclusione, ben vengano le decisioni dei colossi del web contro la destra trumpiana che ha messo a rischio la sicurezza nazionale americana e quella dei deputati Usa assaltando il Campidoglio, ma allo stesso tempo è giusto tracciare delle linee da quello che effettivamente è concesso (è vero, i social sono società private con le proprie normative) a quello che non può essere messo in discussione (la libertà di critica). Una sottile linea rossa, appunto, che mette alla prova anche i più facoltosi analisti. Il punto vero è, perciò: qual è la differenza tra fake news e critica libera? Sono i social media a dover giudicare l’origine delle informazioni, o siamo noi cittadini a dover imparare ad usare il mezzo social con consapevolezza e coscienza collettiva? Quesiti che rimangono aperti, ma che ci offrono delle importanti linee guida anche per il futuro.