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immagine di monete e foglie che crescono per articolo sul recovery fund

Recovery Fund e digitale: tutto quello che c’è da sapere sui Digital Labs

In questo periodo si parla tanto di digitalizzazione del nostro paese. Un concetto tanto discusso quanto complesso, soprattutto per quanto riguarda la cultura del nostro paese ancora poco incline a quella rivoluzione digitale tanto sperata e attesa.

Con l’avvento del Recovery Fund, piano economico in aiuto dei paesi UE dopo l’emergenza provocata dalla crisi del Covid-19, le istituzioni europee stanno sensibilizzando anche il nostro paese con lo scopo di fargli utilizzare le risorse economiche che gli spetteranno nel processo di digitalizzazione del nostro sistema professionale e amministrativo.

Un compito non facile, sicuramente, se si pensa che la cultura del nostro paese è tutto fuorché incline a quella digitalizzazione costante avvenuta per esempio in altri paesi europei come la Germania e il Portogallo (sì, proprio lui).

In questo senso, da sottolineare è l’idea di creare i cosiddetti “Digital Labs” per la formazione di professionisti e docenti. Ma cosa sono e in cosa consistono?

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Recovery Fund e Digital Labs: di cosa stiamo parlando

Anche la didattica, inevitabilmente, viene inclusa in questo ragionamento ed è sicuramente un fattore fondamentale per l’avvio di una seria digitalizzazione del nostro paese.

La didattica a distanza, dopo i mesi di lockdown, è tornata improvvisamente d’attualità. Ed è proprio il digitale a scuola ad essere diventato un tema molto importante quando si discute, sia tra le aule di Roma che tra i professionisti del digitale, della digital transformation in Italia. Nella componente istruzione del Recovery Fund, infatti, la didattica digitale viene presa in considerazione soprattutto perché intesa sia come formazione del personale scolastico che come accrescimento delle competenze degli studenti.

Il piano europeo ha dato all’Italia una grossa mano e il nostro paese potrà contare su 208,6 miliardi di euro stroardinari (di cui 127,6 miliardi a titolo di prestiti e 81 di sovvenzioni a fondo perduto). In questo grande pentolone, il governo Conte ha messo una V su ambiti come Istruzione, formazione, ricerca e cultura etichettandoli come missioni da compiere insieme alla «completa transizione al digitale della scuola italiana».

Con quali misure? Sostanzialmente tre: la trasformazione di tutte le aule in ambienti di apprendimento innovativi, la digitalizzazione dei sistemi informatici, delle banche dati e delle infrastrutture amministrative dell’istituzione scolastica e appunto la creazione di 2.700 “Digital Labs” (uno per ogni scuola secondaria di secondo grado) distribuiti sul territorio dove poter formare il personale e organizzare attività didattiche innovative per gli studenti.

Indicativamente, le competenze insegnate saranno tutte all’interno dell’ecosistema digitale ma varieranno a seconda della figura: per gli studenti si punterà a potenziare le loro competenze digitali in ogni grado di istruzione, mentre ai docenti, i dirigenti scolastici e il personale amministrativo verranno assegnati piani di aggiornamento professionale per quanto riguarda le loro tech e digital skills.

Un processo che verrà accompagnato anche dalla creazione di una piattaforma nazionale di supporto ma soprattutto di affiancamento per lo sviluppo delle competenze digitali. Competenze che riguarderanno tutto il settore della scuola italiana e cercheranno di unirsi all’introduzione di percorsi accessibili e certificabili per gli studenti e i professionisti stessi. Inoltre, sarà possibile, sempre secondo le previsioni del piano, usufruire di singole iniziative che mireranno a diffondere metodologie didattiche innovative.

Nelle sfide presenti in questo piano c’è, oltre alla rivoluzione digitale, il contrasto alla dispersione scolastica. Questione pericolosa soprattutto nel Sud Italia, dovrebbe essere prevenuta attraverso il lavoro a scuola da parte di docenti dedicati che possano orientare alunne e alunni nelle situazioni più a rischio. Un’altra forma di inclusione sociale e professionale, data proprio dall’innovazione digitale.

Non a caso, infine, un altro importante obiettivo sarà quello della piena digitalizzazione dei sistemi informatici, delle banche dati e delle infrastrutture amministrative dell’istituzione scolastica. Un fattore decisamente discusso negli ultimi anni dall’opinione pubblica, ma mai preso seriamente in considerazione dalla politica.

Ecco che, quindi, potrebbe essere proprio la grande crisi della pandemia a stimolare il coraggio di un paese ancora in lotta tra la tradizione e il futuro, ma soprattutto tra i processi amministrativi lenti e la digitalizzazione. Quest’ultima potrebbe essere il vero baluardo di una trasformazione tanto inevitabile quanto fondamentale, in primis per quanto riguarda la cultura del digital nel nostro paese.

Non è detto che poi, nonostante i presupposti positivi, questa rivoluzione sarà veloce, ma è già una vittoria che le istituzioni politiche la stiano prendendo in considerazione e l’Unione Europea stia pressando in questo senso chi ci governa attualmente. I soldi consegnati nelle mani dell’Italia dovranno essere sfruttati per la digitalizzazione e per il 5G, almeno in una buonissima parte: questo è il monito delle autorità europee ed è quello che ci auguriamo tutti, addetti ai lavori compresi.

“Penso che sia importante che il Recovery Plan – che io appoggio completamente – si concentri su ambiti di investimento che contribuiscono a rendere l’economia europea più resiliente e dinamica. E quindi la digitalizzazione, soprattutto, ma anche la protezione dell’ambiente, per la quale spesso servono soluzioni tecnologiche avanzate. Per questo ho accolto molto favorevolmente il target minimo del 20% del Recovery Plan da destinare alla digitalizzazione”. […] Il 5G è una svolta: cambierà il modo di fare business, creerà nuove forme di business. E aiuterà l’Austria a colmare anche alcuni gap, dovuti alla geografia, nella tecnologia “fiber to the home” (il collegamento in fibra ottica che raggiunge le singole abitazioni, ndr). Per questo l’abbiamo così sostenuto e siamo sulla strada giusta, c’è da poco stata un’asta. Quanto a Huawei, è per noi una delle tecnologie disponibili. Ci sono misure di sicurezza da rispettare e regole chiare, ma non escludiamo nessuna tecnologia dalla nostra offerta. Naturalmente preferiamo tecnologie europee, che sono presenti e ampiamente utilizzate dai nostri operatori, come quelle di Nokia e Ericcson. Ma c’è anche Huawei”.

Margarete Schramböck, ministra per l’Economia e la Digitalizzazione dell’Austria