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murale di Kobe Bryant

Le immagini che raccontano tutto quello che era Kobe Bryant

Kobe Bryant non è stato solo uno dei giocatori Nba più forti di sempre, ma un personaggio che è riuscito a uscire dai confini dello sport.

murale di Kobe Bryant

Una figura che non rimane solo negli annali della pallacanestro americana e globale, ma una stella che ci racconta un’epoca forse già spazzata via. E questa “etichetta” è la stessa che va data a sportivi del calibro di Gilles Villeneuve, Fausto Coppi, Pelé, Eddy Merckx, Jesse Owens: tutti personaggi che hanno accompagnato la nostra vita e ci hanno intrattenuto, anche con il merito di farci dimenticare la quotidianità e guardare oltre l’orizzonte. Perché è un po’ questo il punto: portando con sé un messaggio, questi sportivi ci hanno trasportato nelle loro avventure facendole diventate nostre. Grazie a loro, tutto era diventato davvero possibile.

Kobe è stato uno sportivo capace di travalicare i confini del parquet: un giocatore amato e odiato (sportivamente parlando) e discusso, nel bene o nel male, per la sua influenza nella cultura popolare. Oltre che tecnicamente sopraffino e quasi extra-terrestre per i suoi movimenti, Kobe è rimasto scolpito nella mente di qualsiasi ragazzino che si recava agli allenamenti in palestra con la sua maglietta numero 24, sognando l’America o un contratto da professionista, o semplicemente una vittoria alla partitella al campetto. Trasmetteva questo, da bambini: una stoppata all’amico più grosso diventava una vera e propria impresa atletica, mentre una vittoria al campetto si trasformava magicamente in una vittoria del titolo Nba. La realtà si scontrava con la fantasia e non c’era “provincia”o canestro rotto che tenesse.

“Devi diventare forte, una roccia. Sennò non sopravvivi. È stato un anno molto duro. Qui a Los Angeles i media sono molto aggressivi e sì, forse tendono a giudicarmi prima del tempo. Anche i fan sul campo sembra che mi abbiano già giudicato, ma loro sono tifosi, fanno il loro mestiere, non ho nessun risentimento. Gioco a basket, la mia terapia. La mia fuga da ciò che mi sta succedendo. Forse mi diverto più in allenamento che in partita”

Kobe Bryant

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Kobe Bryant e il legame con l’Italia

“Per me Reggio Emilia è molto speciale, ricordo quando andavo in giro per le strade con i miei amici, in bicicletta. Semplicemente speciale. Un posto differente dagli altri: prima, venendo qui in macchina, ho spiegato ai ragazzi della Nike quanto è speciale il fatto che uno dei migliori giocatori Nba sia cresciuto qui, in questo paesino. A ripensarci, da giocatore di basket non esiste altro posto più lontano da Los Angeles di questo. Vuol dire che ogni sogno è davvero possibile”. 

Intervista a Basket Reggio Emilia, 2016

Kobe Bryant visse in Italia dai 6 ai 13 anni, spostandosi nelle varie città dei club per i quali giocava il padre Joe Bryant, anch’egli cestista. Tra il 1984 e il 1991 passò da Rieti a Reggio Calabria, per proseguire a Pistoia e infine a Reggio Emilia.

L’approdo a Los Angeles dopo la parentesi con Charlotte

Nel 1996, non ancora diciottenne, decise di fare il grande salto tra i professionisti e si presentò per il Draft NBA senza passare per il college. Kobe venne scelto dagli Charlotte Hornets come 13esima scelta al primo giro. Subito dopo, però, gli Hornets cedettero ai Los Angeles Lakers i diritti su Bryant in cambio del ventottenne Vlade Divac. Questo perché, proprio in quei giorni, i Lakers avevano appena messo sotto contratto un giocatore più forte nel ruolo di Divac, ovvero un certo Shaquille O’Neal. Prima di proporre lo scambio, il team tecnico della franchigia californiana organizzò un provino per testare le qualità del giovane Bryant e ne fu subito conquistato dalle capacità tecniche ed atletiche.

I titoli con i Lakers

Con la maglia numero 8 (diventata poi 24, entrambe ritirate dalla società dopo il suo ritiro) Kobe Bryant ha vinto tutto: cinque “anelli”, cioè il campionato Nba, due titoli di Mvp (miglior giocatore) delle finali del 2009 e 2010 e infine due titoli di capocannoniere della regular season e due medaglie d’oro olimpico con la nazionale statunitense.

La sua eredità tecnica

“È la cosa più simile a Michael Jordan che si sia vista. Passerà probabilmente alla storia come la seconda miglior guardia di tutti i tempi. Era inarrestabile. La sua voglia di vincere era incredibile, e l’ha tenuto in palestra come nessun altro. Si è dedicato completamente al basket, 24 ore su 24, 7 giorni su 7”

Magic Johnson, leggenda dei Los Angeles Lakers

Ecco tutti i record assoluti battuti da Kobe Bryant: più giovane giocatore dell’All Star Game (19 anni e 175 giorni) nel 1998, più giovane giocatore ad essere stato scelto nel NBA All-Rookie Team (1996-97), più giovane giocatore ad avere vinto lo Slam Dunk Contest: (18 anni e 175 giorni) nel 1997, più canestri realizzati negli All Star Game (115), maggior numero di rimbalzi offensivi (10) in una gara dell’All Star Game nel 2011, maggior numero di recuperi negli All Star Game (37 alla pari con Michael Jordan), uno dei due giocatori della storia ad aver segnato 50 o più punti in 4 gare consecutive (l’altro è Wilt Chamberlain che è il primo essendo arrivato a 7 gare consecutive), più tiri da 3 segnati in un tempo: 8 (28 marzo 2003 contro gli Washington Wizards), più tiri liberi segnati in un quarto: 14 (20 dicembre 2005 contro i Dallas Mavericks), più tiri da 3 segnati negli All-Star Game: (17), unico giocatore nella storia NBA a segnare almeno 600 punti nella post-season per tre anni consecutivi (2008, 2009, 2010), unico giocatore nella storia NBA ad aver segnato 60 punti nella sua ultima partita da professionista (13 aprile 2016 contro gli Utah Jazz).

La Mamba Mentality

Mamba Mentality Kobe Bryant

Vent’anni di carriera nella stessa squadra, cinque titoli NBA, due ori olimpici, un’infinità di record personali. Kobe Bryant ha letteralmente rivoluzionato la pallacanestro, prima di ritirarsi nel 2016. Nel suo libro illustrato “The Mamba Mentality – Il mio basket”, Kobe (autosoprannominatosi “Black Mamba” per i suoi movimenti simili a uno dei serpenti più agili e letali in natura) racconta il suo modo di intendere il basket: le sfide sempre più dure lanciate a sé stesso e ai compagni in ogni allenamento, i riti per trovare la carica o la concentrazione, tutti i retroscena della preparazione ai match e i motivi per cui, semplicemente, per lui perdere non è mai stata un’opzione. Oppure la volontà di superare il dolore e rinascere ogni volta più forte dopo i tanti infortuni patiti in carriera, i suoi maestri, lo studio maniacale degli avversari – da Michael Jordan a LeBron James – per carpire loro ogni segreto possibile e migliorare sempre di più fino all’ultimo minuto dell’ultima partita disputata. 

The last game, Mamba out

maglia di Kobe Bryant

Dopo 20 anni di carriera e 5 titoli vinti con i Los Angeles Lakers, Kobe Bryant diede il suo personale addio al basket con una partita da 60 punti contro gli Utah Jazz. A fine gara, il commovente saluto al pubblico gialloviola e a tutti i tifosi accorsi a LA per vederlo in campo per l’ultima volta: “Mamba Out”.

“Non posso credere che 20 anni siano trascorsi così rapidamente. È stato un viaggio incredibile, ma la cosa più importante è che siamo rimasti sempre uniti. Sono nato e cresciuto come un grandissimo tifoso dei Los Angeles Lakers. So tutto di ogni giocatore che ha vestito questa maglia. Non potevo sognare nulla di meglio che trascorrere 20 anni in questa squadra. La cosa che mi ha fatto più ridere è che per 20 anni mi sono sempre sentito dire: ‘Passa la palla’. Stasera, invece, tutti mi dicevano: ‘Non passarla!’. Grazie a tutti dal profondo del mio cuore. Che cosa posso dire di più? Mamba Out.”

Il rapporto con LeBron James

Con i suoi 29 punti, la notte prima dell’incidente aereo che ha portato via Kobe Bryant e sua figlia Gigi, LeBron James superava il record di punti in carriera (33.655) battendo proprio il suo “rivale” dalla maglia numero 24 e diventando il terzo marcatore di sempre. Tra i due c’è sempre stato un rapporto di lealtà-rivalità, come succede spesso per i campioni di uno sport che da poli opposti si trovano a dividersi la scena.

Dopo aver saputo della morte di Kobe, James è stato immortalato all’Aeroporto di Los Angeles in lacrime. Il giorno dopo, lo stesso James ha deciso di scrivere una lettera d’addio sul suo profilo Instagram dedicata al suo rivale di sempre.

Il rapporto con Michael Jordan

Michael Jordan, simbolicamente insieme a LeBron James uno dei cestisti più famosi della storia della Nba a livello globale, non ha mai nascosto la sua ammirazione tecnica nei confronti di Kobe.

“Ho lasciato la NBA in buone mani, ma se dovessi scegliere il giocatore più forte del pianeta, direi Kobe Bryant, senza alcuna esitazione”.

Michael Jordan

La sua prima schiacciata, infinita.

Ed ecco la prima schiacciata della sua carriera, nel 1997 a 19 anni, alla sua seconda stagione in Nba. Non era ancora titolare, e durante una partita della pre-season, ovvero la fase che precede la stagione vera e propria, schiacciò sorvolando lo storico e monumentale centro Nba Ben Wallace. Fu l’inizio di tutto.

Dear Basketball e il premio Oscar

Dear Basketball è un cortometraggio d’animazione prodotto nel 2017, scritto proprio da Kobe Bryant e diretto da Glen Keane, basato sulle lettere scritte dal giocatore e pubblicate il 29 novembre 2015 sul The Players’ Tribune, in cui annunciò il suo ritiro dal mondo del basket. Per il toccante cortometraggio, il cestista ricevette anche un premio Oscar per il miglior cortometraggio d’animazione.

foto di Kobe Bryant simil cartone

Caro Basket,
sin dal momento in cui ho cominciato ad arrotolare i calzettoni di mio papà
e a immaginare canestri decisivi per la vittoria al Great Western Forum,
mi è subito stata chiara una cosa: mi ero innamorato di te.
Un amore così grande che ti ho dato tutto me stesso,
Come un bimbo di sei anni, innamorato, non ho mai visto la luce in fondo al tunnel.
Mi vedevo soltanto correre, e così ho corso. Su e giù per ogni campo, rincorrendo ogni pallone per te. Mi hai chiesto il massimo sforzo, così ti ho dato il mio cuore.
Ho giocato quando ero stanco e affaticato, non perché fossero state le sfide a chiamarmi, ma perché TU mi hai chiamato. Ho fatto qualsiasi cosa per TE, perché così fanno le persone quando qualcuno le fa sentire vive (come hai fatto tu con me).
Hai dato a un bimbo di sei anni il sogno di essere un giocatore dei Lakers e ti amerò sempre per questo. Ma non posso amarti in modo ossessivo per molto tempo ancora. Questa stagione è tutto quel che mi rimane da darti.
Il mio cuore può reggere il peso, anche la mia mente, ma il mio corpo sa che è giunto il momento di salutarci. Ma va bene così.
Sono pronto a lasciarti andare. Volevo che tu lo sapessi,
così potremo assaporare meglio ogni momento che ci rimarrà da gustare insieme.
Le cose belle e quelle brutte. Ci siamo dati l’un l’altro tutto. Ed entrambi sappiamo che, qualsiasi cosa farò, sarò sempre quel bambino con i calzettoni, il cestino della spazzatura nell’angolo e 5 secondi ancora sul cronometro, palla in mano.
5… 4… 3… 2… 1.
Ti amerò sempre.
Tuo Kobe

Kobe Bryant, Dear Basketball, 2017.