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I podcast sono il futuro della comunicazione? Si, no, forse.

I podcast sono il futuro della comunicazione? Si, no, forse.

Matteo Shots.it

Matteo Mario

Vi proponiamo una breve riflessione sulla situazione del mercato dei podcast in Italia e nel mondo. Mentre negli Stati Uniti quello dei podcast è un fenomeno ormai ampiamente diffuso, in Italia rappresenta ancora un mercato di nicchia.

I podcast: due mercati a confronto

Negli ultimi tempi si è parlato molto di podcast: c’è chi dice che rappresentino un mercato in espansione, altri dicono addirittura che saranno il futuro della comunicazione. Innanzitutto, prima di annunciare previsioni o giudizi, è giusto mettere a confronto due mercati di riferimento: Usa e Italia. Nonostante le due realtà nazionali siano difficilmente comparabili viste le differenze soprattutto geografiche, questo può essere un mondo per rendersi conto della situazione attuale e trarre le proprie conclusioni.

Siamo tutti consapevoli del fatto che in Italia si arrivi alle novità di ogni tipo sempre con qualche anno di ritardo. Se, infatti, negli Stati Uniti i podcast sono diventati un mercato da oltre 659 milioni di dollari stimati entro il 2020, in Italia solo il 14% della popolazione usufruisce di questo prodottoSempre negli Stati Uniti, gli introiti pubblicitari sono infatti passati dai 169 milioni di dollari del 2016 fino ai 314 dello scorso 2018; registrando una crescita dell’86% che ha ampiamente superato le aspettative degli analisti.

Parallelamente in Italia, secondo le analisi dell’anno 2018, circa il 23% della popolazione non sa cosa sia un podcast. Un fatto curioso, visto che negli Stati Uniti l’epoca d’oro dei podcast è iniziata nel lontano 2014 con Serial, appuntamento di giornalismo investigativo condotto da Sarah Koenig.

All’interno della ricerca Nielsen “Scenario 2015-2018 del podcast in Italia” presentata lo scorso 21 novembre dal country manager di Audible Marco Azzani, si è evinto come nel corso del triennio in analisi in Italia si sia parlato troppo poco di questo tema (e i dati, ad oggi, sono più o meno gli stessi).

Negli ultimi anni, nonostante questi numeri, ci sono podcaster italiani che stanno portando avanti progetti coraggiosi ed innovativi. L’Italia è il quinto paese con il maggiore consumo, dietro solamente a paesi di lingua anglofona come Stati Uniti, Australia e UK. Per il futuro, perciò, ci si potrebbe aspettare una crescita altrettanto veloce in termini di contenuti all’altezza con la qualità che siamo abituati ad ascoltare oltreoceano.

Il mercato, almeno per quanto riguarda il Belpaese, costituisce ancora un segmento ristretto e a prova di sperimentazioni. In funzione di questo, molti esperti si sono interrogati se misurare l’audience dei podcast sia ancora un work in progress, e se non ci siano modi efficaci per i pubblicitari di automatizzare il piazzamento delle loro inserzioni attraverso diversi podcast. La risposta è si: in entrambi i casi, infatti, utenti e creatori si trovano di fronte a dimensioni in continuo cambiamento.

Per definizione, i podcast riescono a diffondere contenuti originali e di qualità senza contributi più grandi di loro. Una qualità che si riflette senza dubbio sulle tipologie più apprezzate: oltre la metà dei profitti generati da questo strumento deriva infatti da podcast che parlano d’arte e intrattenimento (17%), tecnologia (15%), politica e informazione (13%) e affari (11%). Le persone che seguono i podcast, inoltre, sembrano ben disposte ad ascoltare la pubblicità presentata dagli stessi presentatori (modus operandi tipico) e resistono alla tentazione di saltarla.

Un mercato, quindi, che nasce piccolo e indifeso ma ha il potenziale di diventare grande e grosso. Dimostrazione di questo è stata sicuramente l’entrata a gamba tesa di Spotify nel mercato in analisi, con l’obiettivo di far nascere e crescere una larga fetta di guadagno. Oggi l’ascolto dei podcast è frammentato su diversi fronti: da TuneIn Radio all’app Podcast di Apple passando per appunto Spotify, Audible e altre applicazioni come Stitcher, Spreaker, Podbean e Overcast o la nostra RaiPlayRadio.

Il gruppo di Daniel Ek (Spotify), come scritto sopra, ha già riempito il suo carrello. Le due società Gimlet Media e Anchor , infatti, sono diventate di sua proprietà (ma rimarranno indipendenti dovendo solo rispondere alla piattaforma madre). L’investimento di Spotify raggiunge gli oltre 300 milioni di dollari, ed è il simbolo della strategia del gruppo per i prossimi mesi. La valorizzazione dei contenuti originali (vi avevamo parlato qui del grande esempio di Netflix) con lo scopo di attrarre sempre più potenziale audience.

Mentre Gimlet Media è una piattaforma specializzata in creazione di contenuti originali, Anchor è un’ app molto semplice nata per accorpare e condividere nuovi podcast. Quest’ultima è stata addirittura paragonata alla “YouTube dei podcast”. E, visto che conosciamo la storia di YouTube, si salvi chi può. O meglio, si registri chi vuole…