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Social e politica: una rivoluzione contemporanea

Social e politica: una rivoluzione contemporanea

Jacopo Shots.it

Jacopo Miatton

Un tweet, una story, un post su facebook. E’ da un po’ che la nuova classe politica italiana  si fa fiera portatrice della fiaccola illuminante dei social network, forse il fenomeno che più ha modificato, rovesciato e plasmato la comunicazione moderna dai tempi dell’avvento della televisione. E così anche la politica cavalca l’onda social a suon di improbabili selfie su Instagram e tweet da 140 caratteri che forse, a volte, prima di essere pubblicati andrebbero revisionati un paio di volte.

Non tutto il male vien per nuocere, comunque: se un tempo la classe politica era vista come distaccata dalla realtà di un Paese, percepita come élite rinchiusa nei palazzi del potere, ora ci si può godere autoscatti dei ministri di turno dal basso in alto ( doppi menti compresi ) per sentire la politica più vicina al popolo, a braccetto con gli elettori, magari ingurgitando demagogia e populismo spiccio ma che ci vuoi fare, Salvini l’ha scritto su Facebook. La politica si imbarca sui social per azzerare le distanze storicamente note tra governanti e governati. La relazione tra chi rappresenta e chi elegge negli ultimi anni ha raggiunto la distanza minima, rendendo i politici più umani, più realistici.

E il realismo porta con sé pregi e difetti di ognuno di noi: sebbene l’attività social dei governanti sia sicuramente controllata in qualche modo  ( e si spera, in alcuni casi, anche limitata), l’arma a doppio taglio dei social media, che porta tutto a tutti in tempo reale, taglia eccome: la gaffe di turno diventa virale in un minuto e diventa impossibile scampare alla gogna mediatica e al lancio dei pomodori marci sotto forma di commenti e retweet. Due facce della stessa medaglia e uno strumento talmente potente da essere pericoloso.

Una personalizzazione del patto politico che porta all’uso di un linguaggio immediato, comprensibile, lasciando fuori dalla porta retorica e dialettica a favore di chi, questi discorsi complicati, conditi da un registro formale che intrica discorsi già di per sé annodati, non li ha mai capiti. E se il responso è positivo (come effettivamente è) ci si butta a capofitto sul web per impossessarsi di queste nuove strategie di marketing (a basso costo), per rinfrescare la scena politica, come un siero anti età che ringiovanisce parlamentari impolverati. Rimane da chiedersi se è davvero questo ciò che è vitale – o rivitalizzante – per la politica italiana. Sì, è giusto che la classe politica scenda dal trespolo millenario sulla quale è stata accovacciata fino a poco tempo fa, è giusto potersi confrontare in prima persona con ministri e parlamentari, ma è davvero questa la miglior forma futuristica di “democrazia diretta” tanto decantata dall’antico popolo greco?

Non si parla tanto in questa circostanza delle sporadiche (ma nemmeno troppo) gaffe dell’impreparato di turno, o di una generale perdita di serietà, ma di quel distacco professionale che caratterizza da sempre alcune professioni. Alzi la mano chi vorrebbe sentire la propria diagnosi post-esame ospedaliero attraverso una instagram story del proprio medico. Sì, è innegabile l’utilità dei social media e pure in politica possono essere un valido strumento, ma quanto possono distorcere l’immagine di un sistema politico frutto di un lungo processo storico, di istituzioni nazionali serie e sobrie (come devono essere) agli occhi di chi non ha gli strumenti per scindere i due diversi piani, l’uno del tweet e l’altro dell’assemblea parlamentare? E casualmente, infatti, di pari passo con l’ascesa dei social network, sbocciano rigogliose le infiorescenze dei nuovi governi populisti.