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Red Dead Redemption 2 e le nuove frontiere del gaming

Red Dead Redemption 2 e le nuove frontiere del gaming

Red Dead Redemption 2 è indubbiamente il videogioco dell’anno. Disponibile per due consolle sul mercato (l’uscita per pc non è ancora stata annunciata), il progetto nato dagli sviluppatori di Rockstar Games sta diventando sempre di più un vero cult per gli amanti del genere e non solo. Anche le vendite fanno la voce grossa: per la terza settimana consecutiva, infatti, l’open world ambientato nel far west occupa la prima posizione della classifica software retail nel Regno Unito ed è tra i primi due giochi più venduti in Italia, incassando più di 725 milioni di dollari in tutto il mondo nei primi 3 giorni di release. Il racconto di un’epopea che ha conquistato tutti, dal pubblico più giovane ai veterani più sensibili.

La trama è chiara. Far West, 1899: il protagonista è Arthur Morgan, fuorilegge appartenente ad una banda pronta a tutto per guadagnare dollari e sopravvivere in un mondo tanto selvaggio quanto già in fase evolutiva. Una fase in cui gli Stati Uniti cominciano ad intravedere un futuro di civiltà, diritti sociali e controllo della criminalità. Uno spartiacque in cui Arthur e compagni si trovano a convivere con un imminente ma non troppo apprezzato futuro.

“Questa enorme esperienza single player ruota intorno a una trama articolata, densa, magari non particolarmente ricca di colpi di scena o situazioni completamente inaspettate, ma senza ombra di dubbio magistralmente narrata e in grado di intrattenere qualsiasi giocatore per decine di ore di gioco”.   Pierpaolo Greco, multiplayer.it

Ma cosa rende questo gioco così interessante per il pubblico?

Partiamo dalla casa produttrice: Rockstar Games. Fondata nel 1998 a New York, la società è principalmente conosciuta per altri prodotti cult come Grand Theft Auto, Max Payne e appunto il primo titolo Red Dead Redemption. Come emerge dalle dichiarazioni ufficiali, ci sono voluti diversi anni per concepire e sviluppare un gioco di questa portata. Rockstar è famosa per lavorare anni su un solo progetto, ma l’impressione è che per quest’ultimo il team abbia davvero sudato tante sinapsi.

Il genere di riferimento è l’open world: una vasta mappa, la possibilità di personalizzare oggetti ed armi del personaggio, ma soprattutto la necessità di nutrire lui ed il suo cavallo per sopravvivere. Un’aggiunta non da poco, visto che fin’ora gli altri titoli open world della casa statunitense non prevedevano questo dettaglio. Stiamo parlando di un vero e proprio realismo moderato: un compromesso che aiuti il giocatore a sentirsi completamente coinvolto ma allo stesso tempo non frustrato da elementi troppo vicini alla realtà. Un passo falso che aveva caratterizzato alcune produzioni precedenti (vedi Kingdome Come Deliverance) e che Rockstar ha voluto superare.

La giocabilità di RDR2 viene incontro alle esigenze di un pubblico sempre più voglioso di coinvolgimento, nuove avventure e universi da esplorare. Un racconto quasi dantesco di ciò che si ha intorno, con il personaggio pronto a diventare il Virgilio di tutti i giocatori seduti sulla poltrona di casa. Il genere open world, per definizione portatore di questi meccanismi, ha però subito una rivoluzione, entrando così in una nuova frontiera. Una frontiera che mantiene la libertà di “poter fare cose”, trasformando tutto in qualcosa di più impattante: un vero e proprio libero arbitrio che si scontra con le dinamiche del gioco, pronte a modificarsi ed evolversi in base alle decisioni del protagonista. Una scommessa vinta dalla casa di produzione newyorchese, che ha aggiunto pochi elementi ma buoni. Infinite dinamiche di gioco che possono davvero trasformare un momento di svago in puro intrattenimento (la prima è diversa dalla seconda). Lo dimostrano anche la scelta di inquadrature, regia e colonna sonora, le migliaia di pagine di sceneggiature uscite dalle stanzette dei creativi, le psicologie dei vari personaggi. Un mondo virtuale a tutti gli effetti, insomma.

Tutt’ora sul mercato spopolano titoli di altro genere, fuori dalle dinamiche dell’open world e della giocabilità partecipata. Giochi che hanno un’inizio e una fine, avventure limitate nel tempo. Oggi, però, il mondo dei games sta prendendo una piega differente, e il successo di questo prodotto lo conferma. Il giocatore medio (e non quello tradizionale, categoria a sé) ha bisogno di stimoli, possibilità di esplorazione, elementi interattivi, libertà di movimento e dinamiche realistiche oltre che volontarie. Un bisogno nato forse dalla crescita di un genere che sta dominando tutti gli altri (le classifiche di vendita lo dimostrano) e che potrà provare a competere con un’altra modalità pronta ad esplodere definitivamente nel prossimo futuro: la virtual reality.

Anche quest’ultima porta venti favorevoli ai naviganti che intendono essere coinvolti in un meccanismo digitale completamente nuovo, ma risulta ancora una tecnologia non accessibile a tutti e apprezzata da pochi. Il meccanismo dell’open world proposto in RDR2, invece, riesce a catapultare il giocatore in una nuova dimensione, rendendo l’esperienza di gioco un insieme di attività illimitate e il protagonista un vero e proprio alter ego desiderato. Ogni possibile scelta indirizza lo svolgersi degli eventi, trasmettendo una sensazione di potere, autorevolezza ma soprattutto responsabilità. La stessa responsabilità che tutti noi dobbiamo affrontare ogni giorno, resa simulabile in un mondo che però non presenta conseguenze tangibili (almeno nel mondo in cui viviamo, ovviamente).

Oggi non conosciamo con certezza quello che potrà accadere in futuro nel mercato dei videogames, ma possiamo constatare i motivi per cui i consumatori si stanno muovendo: maggior coinvolgimento, realtà parallele e mondi sempre più interattivi. E se questo spunto arriva proprio nell’epoca del boom dei social media (realtà parallele a tutti gli effetti), non vediamo perchè  non dovrebbe andare in questo modo.