archivio

- leggi in 5 min

Shut in economy, un nuovo scenario globale e digitale

Shut in economy, un nuovo scenario globale e digitale

“Tutti vorremmo tornare alla normalità, ma forse non succederà mai”. ha detto il direttore della Mit Technology Review Gideon Lichfield in un recente articolo pubblicato dalla rivista del MIT, Massachusetts Institute of TechnologyUna sorta di profezia che rischia di descrivere alla perfezione lo scenario economico globale futuro, il quale porterà con sé delle inevitabili ricadute anche sulla dimensione sociale della popolazione mondiale.

Secondo l’autore, infatti, c’è una consistente possibilità che le epidemie continueranno a ripetersi senza dei controlli adeguati per contenerle. Ma quali sono questi metodi di controllo? A questo proposito, uno studio dell’Imperial College di Londra ha affermato che saranno sempre più frequenti le imposizioni di misure di distanziamento sociale quando i ricoveri nei reparti di terapia intensiva aumenteranno, e viceversa quelle di riduzione ogni volta che diminuiranno.

Questo scenario apocalittico potrebbe favorire lo sviluppo di una nuova dimensione globale, sociale ma soprattutto economica: la cosiddetta Shut in economy. Una sorta di nuova normalità a cui si dovranno adattare piccole e medie imprese, compagnie multinazionali e consumatori stessi.

Leggi anche: L’influencer marketing ai tempi del Coronavirus, lo stato del business

Shut in economy: definizione e sviluppi futuri

Secondo appunto Lichfield, che è una figura assolutamente autorevole ed affidabile, quello in corso non sarà un breve periodo della nostra esistenza ma piuttosto l’inizio di uno stile di vita diverso da quello di prima: una svolta epocale all’interno di uno stato generale di pandemia. Possibili esagerazioni a parte, cominciano a capire prima di tutto cosa significa il termine Shut in economy.

“Tutti noi dovremo adattarci a un nuovo modo di vivere, di lavorare, di condurre le relazioni. Ma come accade sempre nei cambiamenti ci sarà una fetta della popolazione che subirà di più. E sarà la stessa che aveva già perso molto fino a ora. Quello che possiamo sperare è che la profondità di questa crisi costringerà alcuni Paesi – come gli Stati Uniti – a correggere le ingiuste disuguaglianze sociali che rendono troppo vulnerabili milioni di persone”.

“We’re not going back to normal”, Gideon Lichfield

Con il termine Shut in economy si intende, a livello concreto, l’economia del distacco, del confinamento e più nello specifico “dell’on demand”. Non fraintendiamo, sia chiaro: questo tipo di economia è già tra noi e non serve dire che rappresenta uno scenario a cui la popolazione mondiale è già abituata da ormai qualche anno. Tuttavia, c’è la certezza che le dinamiche da essa provocate possano impadronirsi ancora di più delle nostre vite e renderle – una volta per tutte – completamente differenti rispetto a quelle di prima.

Una sorta di economia legata all’isolamento obbligatorio, causata proprio dallo step temporale del “prima e dopo coronavirus”. Una svolta che avrà, inevitabilmente, delle ripercussioni anche sul sistema digitale visto che ricopriranno ancora più rilevanza economica, culturale e politica i giganti del settore come Amazon, ma anche l’esposizione della nostra privacy e tutti gli ulteriori rischi di limitazione e violazione dei dati personali.

In uno scenario di questo tipo, allo stesso tempo, ci saranno ripercussioni fortemente negative in tutti quei mercati o luoghi che prevedono assembramento di persone come cinema, teatri, concerti ma anche compagnie aeree, centri commerciali, store fisici ecc. 

Alcuni esperti, a riguardo, ipotizzano che potremo essere costretti a vivere in costante isolamento e quindi perennemente online, alternando le nostre vite digitali a qualche settimana di vita di “quasi normalità” (la cosiddetta “quarantena yo-yo”). Oppure, alcune ipotesi espongono la possibilità di fare esperienza di teatri e cinema con posti ridotti o palestre e negozi a numero chiuso e con percorsi obbligati e distanziamento programmato. Uno scenario fortemente dispotico (oltre che distopico) e pessimista, chiaro, ma condiviso realisticamente da un gran numero di scienziati su scala globale.

Come ha spiegato anche il portale Money.it, qualche giorno fa il Telegraph ha evidenziato come storicamente la fine di un’epidemia porti sempre con sé una ripresa brusca dell’economia, e quindi una ripartenza accelerata e consistente dei consumi.

Anche dalla parte dei consumatori, quindi, le abitudini riceveranno un’onda lunghissima di cambiamento ma tutto ciò avverrà all’interno di un boom dilagante in una sorta di “economia chiusa” che porterà le persone a rivedere il proprio stile di vita consumando” ma in un modo differente da prima. 

Un’attitudine personale del singolo che, perché no, avrà delle influenze positive sull’ambiente e sull’inquinamento atmosferico, visto che (realisticamente parlando) i trasporti tenderebbero a diminuire a scapito di una rete parallela costantemente attiva sul web e quindi “invisibile”.

Lo stesso Telegraph, però, ha spiegato che i paesi in cui ci sarà un crollo maggiore dell’economia e delle filiere produttive il PIL registrerà un calo dal 2,4% fino a più del 5%. Questo significa che, in un’ottica di darwinismo economico e tecnologico, molte imprese non ce la faranno e quelle che riusciranno a resistere dovranno adattarsi e reinventare i loro business. Una logica di riadattamento digitale dolorosa per alcuni ma fondamentali per tutti.

Ecco che, proprio chi segue le digital strategy di brand e compagnie, può approfittare di questo possibile cambiamento (o, meglio, evoluzione definitiva di una situazione già in grande sviluppo) attraverso la programmazione di piani che accompagnino e addolciscano questa nuova frontiera. L’importanza di tutorial e lezioni online, rapporti sempre più frequenti in un’ottica on demand e concentrazione delle proprie vendite sempre più in una dimensione e-commerce potranno assolutamente fungere da punti di partenza per un adattamento sempre più semplificato. 

Anche gli stessi siti web o le landing page, in questo senso, potranno diventare ancor di più delle vere e proprie esperienze analoghe a quelle che l’utente vive nello store fisico (come già sta succedendo, d’altra parte) con la significativa possibilità che l’esperienza digitale possa addirittura risultare più coinvolgente di quella in store. Un capovolgimento totale che gioverà al mondo web catapultando la situazione? Staremo a vedere.